Non si offendono se le si definisce “due signore di mezza età”. Anzi, ne vanno fiere. Soprattutto dopo che si sono macinate in bicicletta mille chilometri – da Aosta a Roma – lungo la via Francigena. L’avventura di Monica Nanetti e Annita Casolo.
La tratta italiana della via Francigena va dal Passo del Gran San Bernardo (2473 mt slm) a Roma, per un totale di 1040 km. Per chi volesse percorrerla in bicicletta, esiste un itinerario già completamente tracciato e mappato, con indicazioni e consigli anche per quanto riguarda le strutture di accoglienza. Senza contare che, in ogni caso, si attraversano territori densamente popolati, attrezzati, densi di bar, ristoranti, pensioni, bed&breakfast, alberghi… Insomma, c’è ben poco di avventuroso, e nulla di estremo.
Forti di questa certezza, le milanesi Monica Nanetti (55 anni) e Annita Casolo (58), hanno deciso di inforcare le biciclette e partire. Allenamento? Nemmeno troppo, considerato il fatto che Monica si è pure frantumata un polso due mesi prima della partenza. Ma determinazione tanta.
“Abbiamo seguito fedelmente il percorso (o almeno ci abbiamo provato)”, racconta Monica. “L’unica concessione che ci siamo fatte è stata l’eliminazione della prima tappa (Gran San Bernardo-Aosta), in parte perchè la strada era ancora chiusa per neve, e in parte per evitare di esordire il primo giorno sovraccaricando con una discesona il mio polso ancora convalescente (fratturato l’11/3, sgessato il 14/4)”.
Non chiamatela “impresa”
Comunque, si diceva, loro non la considerano assolutamente un’impresa epica (vedi il nome che le hanno dato: #secelhofattaio). Ma il punto non è quello, anche se mille chilometri pigiando sui pedali sono pur sempre una distanza più che rispettabile. L’idea che ha dato vita a “SE CE L’HO FATTA IO” è, fondamentalmente, quella di godersi in tutta lentezza un viaggio attraverso alcune delle più belle zone d’Italia (e quindi del mondo): visitando i luoghi attraversati, guardandosi in giro, chiacchierando con le persone, scattando foto, assaggiando piatti tipici e curiosando per botteghe e mercatini.
Il tutto svolto in assoluta autonomia e senza tappe programmate. “Ogni giorno abbiamo pedalato fino a che non siamo state stanche – raccontano -. Il programma era chiaro fin dall’inizio: ci fermeremo dove avremo voglia, cercheremo di guardare l’orologio il meno possibile”.
Continua Monica: “In pratica, per come la vedo io, la parte più epica dell’impresa è stata riuscire a superare casini pratici e sensi di colpa e sparire per tre settimane per fare una cosa fine a se stessa, che semplicemente avevamo voglia di fare… forse superare quota 55 (di età, intendo) serve anche a quello”.
Sole, ma non troppo
Il viaggio in autonomia non ha significato comunque un viaggio in solitaria; anzi.
Alla fine di ogni tappa c’è stato sempre un tetto sopra la testa e un materasso sotto la schiena in qualche albergo, ostello o b&b. Ciò non toglie che essere accolti in una “vera” casa e vedere qualche viso conosciuto è stato ogni tanto di conforto, in un viaggio itinerante (e comunque fisicamente impegnativo) di oltre 20 giorni.
Per questo motivo ogni volta che lungo il cammino Monica e Annita hanno trovato un amico disposto ad offrire un po’ di chiacchiere per cena e un alloggio per la notte, è stato molto bello approfittarne; anche a costo di modificare leggermente (ma solo leggermente!) l’itinerario.
E poi ci sono stati anche gli amici “pedalatori”. È bastato accennare questo progetto per sentirsi rispondere “Bello, come piacerebbe anche a me. Magari non tutto, ma almeno un pezzetto…”. E così lungo la strada è capitato che Monica e Annita incontrassero amici che le hanno raggiunte per pedalare una giornata con loro. Patti chiari, però! “Abbiamo voluto essere noi a dettare tempi e ritmi, perché questo è stato innanzitutto il nostro viaggio e perché nel nostro viaggio non c’era posto per alcun tipo di fretta, orari stabiliti o velleità agonistiche”.
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E se qualcuno decidesse di seguire le tracce delle due coraggiose milanesi, non si faccia spaventare da cotanta impresa. Monica e Annita (e questo va detto a loro merito) amano lo sport ma non sono “impallinate”. Insomma, sono due persone normali.
Scherza Monica: “Fino a pochi mesi fa usavo la bicicletta solo qualche volta al mese, per spostarmi in città su tragitti di una manciata di chilometri. E se proprio a qualche pignolo venisse in mente di fare qualche ricerca, lo ammetto: ho un pallido passato di runner, ma questo non deve trarre in inganno”.
“Le mie capacità fisiche sono sempre state decisamente scarsine, e il fatto che io abbia in qualche modo portato a termine un paio di maratone trascinandomi per circa 5 ore significa una sola cosa: il mio fiato e i miei muscoli fanno schifo, ma la mia testa è decisamente molto dura. E ho fiducia nel fatto che per una passeggiata in bici sulla Francigena questo sia l’unico requisito davvero indispensabile.”
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